a Piazza Carlo III.
Futuro rosa per l’Albergo dei Poveri
Sta per concludersi la prima fase del progetto d’intervento sull’Albergo dei Poveri per porre rimedio a manomissioni, a superfetazioni e ai danni del sisma del 1980. Un restauro che potrà fortemente contribuire a variare lo scenario socio-economico di una vasta zona, oggi assai degradata, innestando un processo vitale di trasformazione urbana. Lungo e complesso è stato l’iter progettuale, che, nella fase esecutiva, ha richiesto un forte impegno economico da parte del ministero per i Beni culturali e del Comune di Napoli, e la creazione di un apposito «ufficio dedicato» diretto dall’architetto Carmela Fedele. Lo studio di fattibilità proposto per la realizzazione della «città dei giovani» ha evidenziato tre grandi temi d’uso rispondenti alle esigenze di tutela e sviluppo dell’edificio - cultura/formazione, accoglienza/ricettività, sviluppo/innovazione - con tre scenari di riuso: Palazzo delle Innovazioni, Palazzo delle Arti, Palazzo delle Istituzioni. Un forte impatto sui napoletani avrà certamente il cambiamento del colore dell’edificio, da me proposto: dal tristissimo e uniforme giallo ocra post-unitario si tornerà ai festosi originari colori settecenteschi che mettevano in evidenza il contrasto tra le membrature architettoniche e le pareti dell’edificio. Alcuni anni fa, osservando un quadro di Salvatore Fergola- che ritrae una parata militare con le truppe schierate dall’Orto Botanico a via Nuova del Campo (oggi via Don Bosco) passate in rivista da Ferdinando II di Borbone - notai che l’Albergo era dipinto in bianco e rosa. Colori che, in seguito, ritrovai anche in altri dipinti e stampe.
Ne parlai con il sovrintendente Guglielmo, che fu d’accordo e, circa due anni fa, con i nuovi colori, fu dipinta la parte centrale, ridipintura che adesso sarà estesa a tutto il lato verso l’Orto Botanico. A ulteriore riprova della fondatezza della scelta cromatica, al di sotto dell’attuale colore è stato, in alcuni punti, ritrovato il rosa originario, inoltre le basi delle lesene, impostate sull’alto basamento di piperno, sono in pietra di Bellona, di colore bianco sporco. Immediato, viene in mente il rapporto con la Reggia di Caserta, dove, le lesene, per tutta l’altezza, sono nella stessa pietra, che ricorda il travertino romano, mentre le pareti sono costruite con mattoni rosa, colore voluto da Luigi Vanvitelli che scelse personalmente le argille e curò il dosaggio dei diversi materiali per ottenere le tonalità desiderate. Per l’elaborazione delle istanze di ristrutturazione territoriale e urbana voluta da Carlo di Borbone, il 1750 fu un anno determinante, giunsero allora a Napoli, su invito del sovrano, Luigi Vanvitelli e Ferdinando Fuga. Al primo, fu affidata la costruzione della nuova sede delle Corte, la «città dei ricchi», seguendo l’esempio di Versailles, al secondo, la «città dei poveri», due utopie illuministe destinate, entrambe, a restare incompiute. Una scelta coloristica unitaria legava evidentemente i due edifici, la facciata della Reggia fu però realizzata in pietra e mattoni, quella dell’ospizio, con intonaco e pittura. L’Albergo dei Poveri - e per favore non chiamatelo palazzo Fuga, poiché l’architetto, per sua fortuna, non abitò mai lì - posto lungo la strada principale di accesso alla capitale rappresentava il simbolo della pietà illuminata del sovrano, in esso viene esaltato il concetto di una fabbrica risolta in chiave urbanistica mediante prospettive dinamiche e tangenziali. La veduta tangenziale, infatti, costituiva il punto di vista principale in accordo con la sua dimensione urbana. Nella seconda metà del Settecento, durante il regno di Ferdinando IV, perseguendo l’intento di costruire un accesso monumentale alla città furono livellati i fossati che cingevano la città a settentrione; in seguito, in maniera più incisiva, durante il decennio francese (1806-1815), ad opera dell’architetto Giuliano De Fazio, fu aperta la via Nuova del Campo (le attuali via Don Bosco e corso Umberto Maddalena), che da Secondigliano, scendendo dolcemente lungo la collina di Poggioreale, confluiva innanzi all’Albergo dei Poveri, innestandosi al tracciato preesistente. Il ruolo dello sterminato edificio veniva, in tale occasione, esaltato da un Arco di Trionfo progettato dallo stesso De Fazio, in analogia con i parigini Arc du Carrousel e Arc de l’Étoile. La prospettiva continua tra le due strade, fu interrotta alla fine dell'Ottocento, in seguito agli interventi del Risanamento e alla creazione dei giardinetti di piazza Carlo III. Tale prospettiva potrebbe oggi essere facilmente recuperata tagliando le aiuole e spostando la zona verde davanti all’edificio, eliminando, in tal modo, il traffico che oggi lo lambisce troppo da vicino.
Un grande Arco di Trionfo, disegnato dal geniale progettista e architetto Santiago Calatrava, potrebbe sottolineare il rinnovato accesso monumentale alla città. Come ultima opportunità, proporrei di recintare l’edificio con una cancellata, riproponendo il disegno di quella settecentesca che delimita l’ingresso della chiesa. Si eviterebbero, in tal modo, i disegni che, in breve tempo, deturperebbero il basamento, come succede, per esempio, per l’edificio della Posta Centrale, da poco restaurato.
Giancarlo Alisio (
)