Brigante1981, 09/03/2012 17.55:
[SM=x2819658] [SM=x2819658] [SM=x2819658]
noooooooo!
na "lenz" e sole!
e non na "vrenzola" e sole!
sempre... almeno credo!
PS: ma una faccina dubbiosa non c'è?
io sapevo na' vrenzola 'e sole, poi magari sbaglio io... e qui una faccina dubbiosa ci starebbe bene (moderatori, provvediamo?
)
comunque visto che quel reportage ti è piaciuto tanto ora te ne propongo un altro dello stesso autore
stavolta si parla di Piazza Mercato
La piazza decapitata
da "Il Mattino" dell'8 marzo 2012
Pietro Treccagnoli
Il tempo scorre a vuoto a piazza Mercato, come l’acqua della fontanella di uno dei devastati obelischi di piperno. Gli anni girano senza corsi e ricorsi e vanno dritto lungo la strada in discesa dell’abbandono, senza neanche prendere la rincorsa, per inerzia. Da quando sono andati via quasi tutti i pannazzari (i venditori di stoffe e biancheria), quando è nato il Cis di Nola, da quando non si sente più riecheggiare il richiamo del bazariota (vero padrone del Carmine), la Storia ha abbandonato il Campo del Moricino, l’ha trasformato nel retrobottega della città, la stanza delle peroglie, degli scarti ingombranti.
Tutto è decapitato, qui, forse perché il cervello non serve più, a cominciare dalle sfingi che proteggevano proprio gli obelischi, passate per la mannaia come Corradino di Svevia, Masaniello e i martiri del 1799. Re imberbi, pescivendoli ribelli e rivoluzionari borghesi, un destino comune. Qui hanno tagliato la testa al futuro e al passato, figuriamoci se si fermavano davanti a una scultura. Ora, aspettando gli annunciati fasti della Coppa America, non resta che guardare l’innumerevole serie delle insegne turistiche, ma di turisti solo uno, al massimo. Per il resto è zona franca della sosta selvaggia e dell’imbratto libero, come rutti al pennarello.
Eppure da queste parti il Comune ha immaginato un percorso medievale che conduca ai Decumani. Per ora si prova a tenere aperte almeno le magnifiche chiese gotiche. Sono stati convocati i parroci per rifilargli qualche custode. Ma dalle torri aragonesi di via Marina, residenza stabile dei senza fissa dimora, al Borgo Orefici, rimesso parzialmente a nuovo (ma la rinnovata vasca di marmo al centro di piazza Carlo Troya è già un cestino supplementare di spazzatura), il percorso è uno slalom senza neve. Ma ve lo vedete l’imbranato forestiero dribblare macchine, cartoni e materassi, cercare un marciapiede e quando lo trova è un parcheggio per scooter. Off-limits, descansate niño. Delle magnificenze angioine e poi barocche restano gli ispirati nomi delle strade che ricordano le comunità di mercanti (rua Toscana, rua Francesca) o i mestieri perduti (Zabattieri, Giubbonari, Armieri, Zappari).
Il degrado al Carmine è figlio dell’indifferenza. Altrimenti non si spiega perché da due mesi hanno piazzato l’indecente gabinetto chimico di un cantiere urbano proprio davanti all’ingresso della basilica della venerata Vergine Bruna: un pugno in faccia al devoto e al profano. Sant’Eligio, dall’altra parte della piazza, non se la passa meglio. Le pareti di tufo della chiesa voluta da Carlo, primo re angioino, è la lavagna dei ciucci innamorati che hanno contribuito a realizzare una fetenzia di installazione che nessuno cancella. Tra i quattro obelischi di Francesco Sicuro, per fortuna, non c’è più quel mare di lamiere abusive che eravamo abituati a sopportare. Di domenica si gioca a calcio sui bàsoli del Vesuvio e le porte sono depositate accanto alla fontana. Ma nel frattempo c’è monnezza sparsa che riempie lo stomaco degli avidi piccioni.
Eppure lo scorcio, nonostante il terribile palazzo Ottieri, è incredibile, con Santa Croce al Mercato che fa luccicare la sua cupola restaurata. Purtroppo l’interno, dove si conserva il ceppo dove decapitarono Corradino di Svevia, aspetta ancora che siano i disponibili i 500mila euro stanziati da anni dal Comune. Solo allora potrà essere restituita al culto e alla memoria. Tra tanti corpi senza testa c’è una testa senza corpo. È Marianna ’a capa ’e Napule. Il leggendario frammento di scultura che fu ritrovato proprio a piazza Mercato, nel Seicento. Qui i boia non hanno mai fatto distinzione tra uomini e statue. Si tratta del volto di un’enorme figura femminile. Forse è Venere. L’originale si trova a Palazzo San Giacomo, ma nel cortiletto che introduce all’antichissima San Giovanni a Mare è stata collocata una copia. Proprio questa straordinaria chiesa merita una visita, ma è difficile rintracciarla (l’insegna comunque c’è), perché l’ingresso è un cancello al pianterreno di un banale e scrostato palazzo, tra due saracinesche abbassate e le solite auto in sosta. San Giovanni a Mare è aperta al pubblico (ma solo di mattina).
Potrebbe essere officiata, ma ci vengono pochi fedeli (figuriamoci i turisti), poiché d’inverno è gelida. Eppure è un concentrato di arte sacra. Risale al XII secolo. È romanica, con tracce arabe e bizantine e innesti gotici e catalani. Qua e là gli inevitabili ornamenti barocchi. Tutto in uno spazio ristretto. Una bomboniera vuota di confetti che i napoletani stessi ignorano, perché pensano che il portoncino conduca a un bagno pubblico. È un destino, al Mercato, che lo spirito debba sempre ostentare le necessità del corpo. La zella non dorme mai, come la ruggine. Ti insegue e ti trova. Puoi provare a spostarla un po’ più in là, come ha tentato di fare chi ha scritto su un muro «Siate civili, depositate a mt 20». Effettivamente attorno è tutto lindo. Vuoi vedere che per ripulire Napoli basta azzeccare un congiuntivo?
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la chiesa di San Giovanni a Mare sarà una delle mie prossime mete...