Case a termine realizzate con i container
Lì, sul molo, le gru che fungono da ruote panoramiche. Poco lontano una nave albergo. Dalla parte opposta, una piscina nel mare depurata da pareti sommerse di cozze. E sulla costa, affacciati sul mare, monolocali e atelier ricavati da container in disuso.Com’era quella storia di Roma che discuteva mentre Sagunto passava al nemico? Dum Romae consulitur, Saguntum espugnatur, diceva Tito Livio. A modo loro, tre valenti architetti napoletani dicono la stessa cosa di Napoli. Mentre c’è chi dibatte, la città muore. Mentre da una parte si definiscono progetti che non prendono mai corpo, dall’altra il corpo della città si decompone. E così, mentre si aspetta il completamento del Centro direzionale o la piena realizzazione di Napoli Est; mentre si spera di vedere un giorno risorgere Bagnoli o il centro storico, che intanto cade a pezzi, ecco un’idea per riempire i tempi morti di questa lunga, esasperante attesa: una Temporary city. Sì, una città “ad orologeria”, programmata per la “sveglia”, per quando il futuro urbano, lungamente pensato e immaginato, busserà, se busserà, un giorno alla porta. Il modello è quello dei temporary shop, dei punti vendita aperti per qualche giorno o qualche settimana, o comunque fino a esaurimento merce. Nel caso della Temporary city, invece, i tempi sarebbero dettati non da mere esigenze commerciali, bensì dalla capacità di costruire o meno l’altra Napoli, quella strategica, per ora prevista solo nei libri dei grandi progetti. Fino a quando questa Napoli non prenderà forma, insomma, sarà in campo l’alternativa a tempo determinato.
E a garanzia di chi teme che la “precarizzazione” possa compromettere il futuro, c’è il fatto che tutto potrà essere montato e rismontato velocemente: sei mesi per costruire e un po’ molto meno per smantellare. Aldo di Chio e Marina e Eduardo Borrelli, meglio noti come gli architetti dello studio Vulcanica, premiato alla Biennale di Venezia per l’intervento in via Brin, tra i migliori dieci realizzati nel 2013, parlano non a caso di “resilienza urbana”, di resistenza intelligente della città ai ritardi politico-amministrativi. «Per questo - spiegano - useremmo quello che c’è già: gli spazi attualmente in disuso e le strutture non più utilizzate, a partire dai tanti container abbandonati nella zona del porto». Sui cavalcavia, quando si arriva a Napoli dall’autostrada, li si vede ovunque: ammaccati, arrugginiti, in bilico. I container sono migliaia, l’uno sull’altro, muraglie invalicabili e che in più punti limitano la vista del mare. Stanno lì come gigantesche scatole di cartone che nessuno ricicla. Un container oggi lo si può avere anche con meno di mille euro: una volta usato per una spedizione intercontinentale, al mittente conviene perderlo lasciandolo dov’è, piuttosto che recuperarlo vuoto. E infatti lì sono tutti: a Vigliena, nel quartiere di San Giovanni, tra la centrale elettrica zona e il costruendo, si fa per dire, Porto Fiorito, e chissà quando e come saranno rottamati. Nella temporary city proposta da Vulcanica, almeno cinquecento di questi container verrebbero utilizzati come tasselli della “Lego”: impilati o inanellati fino a formare case e studi. Come a Copenaghen ad Amsterdam, potrebbero ospitare artisti o professionisti agli esordi, o single e giovani coppie in attesa di sistemazioni definitive. «Noi - dicono Aldo, Marina e Eduardo - li abbiamo immaginati calati negli spazi vuoti dell’ex fabbrica Corradini, di cui da tempo si attende un progetto di ristrutturazione da parte del Comune». La nave albergo è prevista invece attraccata al molo di Levante del porto, quello che dovrebbe diventare la nuova darsena. Lì e non altrove, perché è proprio su quel molo che ci sono quattro gigantesche gru ferme da anni. Ora potrebbero sollevare container con pareti di vetro e portare in alto sul golfo i turisti. Sul Tamigi c’è London Eye, la grande ruota. Il porto di Barcellona è sorvolato da una lunga funivia. E cabine “volanti” ci sono anche a Lisbona. Perché non potrebbe funzionare a Napoli, con il Vesuvio da una parte e Posillipo dall’altra?Infine, la piscina nel mare. L’idea è di realizzarla dove finisce il porto commerciale e dove da anni è previsto quello nuovo per le barche a vela. I lavori sono procedono fermi. Allora - è il presupposto di Vulcanica - perché non approfittarne per dare un impianto di balneazione ai bambini del quartiere? A Berlino, del resto, come piscina non si sono inventati una chiatta semi affondata nella Sprea? Già, ma quello è un fiume. Dubbi: balneazione a Napoli, a ridosso del porto? In uno degli specchi d’acqua più inquinati del golfo? «Nulla - è la risposta - depura meglio di una cozza. E lì ci sono anche molti coltivatori e pescatori dal futuro incerto. Sarebbero ben lieti di partecipare al progetto».Piscina, gru panoramiche, case-container: e i costi? I progettisti: «Abbiamo calcolato dieci milioni di euro. Non è poco, d’accordo. Ma se è vero che rischiamo di perdere parte dei fondi europei, perché non provarci? Sei mesi sarebbero sufficienti e cinquecento persone potrebbero trovare un lavoro. Senza parlate, poi, dei ricavi: di quelli economici e di quelli sociali». Particolare non irrilevante: Vigliena è solo un esempio, e i container scomposti e ricomposti potrebbero essere riciclati ovunque.