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'O fattariello: storie, aneddoti, racconti, leggende

Ultimo Aggiornamento: 01/07/2020 07:32
30/01/2014 11:18
 
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Registrato il: 13/02/2012
Ogni cosa (vera o quasi) che si riferisca alla nobile storia di Napoli e dintorni
Ci mancava un thread del genere, dove poter inserire quanto scritto in titolo. Racconti, storie, anche profili di personaggi illustri o che hanno legato il nome a Napoli.

Vorrei cominciare con questo articolo sul famoso duca di Sandonato, al secolo Gennaro Sambiase Sanseverino, sindaco ottocentesco di Napoli, figura storicamente controversa e discordante.

Sandonato, duca smargiasso

Tra coloro che pur non meritando un monumento vanno ricordati per l' iperbolico spessore che nel bene e nel male seppero dare alla loro vita, vi è don Gennaro Sambiase duca di Sandonato. Costui per la vitalità prorompente, per gli insaziabili appetiti e per la figura fisica si apparenta a Falstaff. Campione di demagogia ma in fondo generoso, intrallazzatore e pessimo amministratore del danaro pubblico.

Ricco di idee talvolta anticipatrici, don Gennaro fu nell'Ottocento un vistosissimo protagonista della politica napoletana. La sua gran stazza corporea non gli impedì il superattivismo; grosso com' era non si mostrò mai stanco e bisognoso di appoggiare i suoi lardosi quarti a una sedia. E con pari passo procedeva il suo ottimismo, mai velato da una preoccupazione.

Per i popolani irraggiava addirittura speranze, sicché lo seguirono trovando in lui un uomo politico sempre pronto a farsi carico delle loro difficoltà. Il più delle volte il suo fu un aiuto illusorio, pure, per i meno abbienti, bastò l' essere ascoltati, il trovare sempre la sua porta aperta, per amarlo chiamandolo "il duca nostro". Quest' uomo si può dire che non ebbe mai una vita privata. Era nato per stare in mezzo agli altri, per rumoreggiare, vociare, polemizzare, progettare per sé e per il suo vasto seguito, anche per imbrogliare.

La sua vitalità annullò l' ingombro del suo fisico pachidermico proiettandolo in mille direzioni, sempre sicuro di riuscire, di travolgere qualsiasi ostacolo. E cominciava presto la sua giornata. Già nelle prime ore la sua casa era più piena d' un teatro con spettacolo di successo. Ciò non lo turbava minimamente, né lo stancava. Si ricorreva a lui per un' infinità di faccende piccole e grandi, e il duca riceveva tutti stando a letto o assiso su quel che monsignor Della Casa nel suo "Galateo" chiamava "pezza degli agiamenti" e la gente comune cantero; termine della lingua italiana, come attesta il Rigutini. Sul profumato trono di terracotta smaltata, don Gennaro concionova, faceva promesse, garantiva raccomandazioni, rianimava i disperati, racchettava i violenti; in breve col suo faccione di tribuno bonario, dava ai popolani e ai piccolo-borghesi l' illusione di essere ascoltati da chi contava.

Ma davvero contava? Nato nel 1823, Gennaro Maria Sambiase duca di Sandonato iniziò la sua carriera presso l' Intendenza di Caserta col modesto grado di impiegato. Era giovane e di idee liberali. Dapprima seppe celarle, poi nelle infuocate giornate del 1848 in qualche modo dovette manifestarle, perché fu destituito e costretto all' esilio. Si aprì in tal modo il periodo più drammatico della sua vita, ché peregrinò fra molte città italiane, svizzere, inglesi, tedesche e francesi; un periodo che durò ben 10 anni. Non è facile immaginarlo l' euforico Sambiase, irriducibile alla malinconia e a qualsiasi fastidiosa ombra - come a lungo apparve - in questi anni tribolati da molte difficoltà e in primo luogo dallo sradicamento.

Ma infine poté tornare a Napoli. Chiusa la parentesi nera, ora poteva iniziare il recupero del tempo perduto forte del suo passato di antiborbonico. Inseritosi nel nuovo corso politico, ebbe nel 1860 il grado di colonnello della Guardia Nazionale e l' incarico di sovrintendente dei teatri. Il suo populismo si manifestò subito e d' istinto scelse la via del gran maneggione sempre pronto a raccomandare e a raccomandarsi, a trattare con chiunque pur di aver un vantaggio, in ciò aiutato da un' esimia faccia tosta: la sua morale era andare avanti senza chiedere chi fossero i suoi compagni di strada. Non mancava di grossolana retorica, e ne fece uso e abuso, poco curandosi di chi considerava sgrammaticati i suoi discorsi.

Ugualmente, torreggiante con la sua flaccida mole, si fece largo tra i concorrenti al potere: gli ostacoli travolti furono molti, come le cariche che ottenne. Fu difatti direttore del Banco di Napoli, presidente del consiglio provinciale, consigliere comunale e poi sindaco di Napoli, deputato nazionale. A queste vanno aggiunte un buon numero di cariche minori.

La sua massima popolarità il Sandonato la ebbe negli anni in cui fu sindaco, ossia dal 1876 al 1878. Il perfetto demagogo mostrò allora anche qualità positive facendo abbattere i più marci e diruti fondaci, costruendo mercati, dando impulso all' Acquedotto di Serino, ideando la villa del popolo, che doveva offrire un grato luogo di passeggio ai popolani del centro. Tale villa, ubicata alla Marina, non ebbe lunga vita assorbita poi dal Porto, fu però un tangibile segno della volontà di offrire anche ai meno fortunati dei vicoli gli agi che i nobili godevano nell' aristocratica villa di Chiaia. I conti comunali in quel periodo andarono in rosso, ma la vastissima clientela di don Gennaro, con suo giubilo, s' infoltì ulteriormente.

Del resto, avere le "masse" con sé era stata sempre la sua arma vincente. Popolarità riconosciutagli dallo stesso re Vittorio Emanuele II, il quale, venuto a Napoli, gli chiese scherzosamente: mi permettete di venire nel vostro regno? Gli uomini di cultura ovviamente non l' amarono. E ricordo Vittorio Imbriani, che nel racconto "La bella bionda", ribattezzatolo Caterinicchio, lo ritrasse coi grotteschi tratti d' un imbroglione cordiale e facchinesco per giunta definendolo "duca senza duchessa e (quel che è peggio) senza ducati".

Ma più del racconto Sandonato soffrì per un suo sonetto giovanile apologetico per i Borboni ripescato dall' Imbriani e pubblicato sul giornale "La Patria" nel 1869. Tentò allora di reagire querelando il giornale, presto però ritirò la querela. Anche il filosofo Silvio Spaventa lo aborriva e una volta disse a Benedetto Croce irridendo a chi cianciava di federazioni, che qualora si fosse realizzato un tal disegno "voi napoletani avreste per presidente il duca Sandonato". Critiche e astio che non scalfirono la popolarità di don Gennaro, che visse euforico e ottimista fino al 1901, anno in cui si spense con dolore dei popolani, che piansero sincere lacrime per chi avevano riconosciuto loro difensore e paladino.

Giovanni Amedeo

Repubblica, 30 settembre 2007
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