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Campania | Ambiente e Salute

Ultimo Aggiornamento: 24/03/2020 12:28
14/03/2014 14:43
 
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Ecco l'elenco delle zone interdette alla produzione di frutta e verdura
corrieredelmezzogiorno.corriere.it/campania/media/fissi/pdf/terrafuochi_aree_interd...

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La struttura alare del calabrone, in relazione al suo peso, non è adatta al volo, ma lui non lo sa e vola lo stesso

15/03/2014 00:52
 
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stasera mega rogo acchiapppato sull'autostrada Napoli/Canosa appena dopo Pomigliano. Era buoio, si vedeva il fuoco riflettere su un vicino palazzo e la luce sempre del fuoco arrivare dal sotto al viadotto. Se mi ci metto un attimo con google maps trovo anche il posto.
15/03/2014 02:37
 
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Re:
CRIME 80, 15/03/2014 00:52:

stasera mega rogo acchiapppato sull'autostrada Napoli/Canosa appena dopo Pomigliano. Era buoio, si vedeva il fuoco riflettere su un vicino palazzo e la luce sempre del fuoco arrivare dal sotto al viadotto. Se mi ci metto un attimo con google maps trovo anche il posto.



L'ho visto.
Stavo tornando da Napoli (a Pomigliano, appunto).

A Ponticelli ho notato un altro rogo (in contemporanea), probabilmente all'interno del parco.

In entrambi i casi ho chiamato i vigili del fuoco, che mi hanno assicurato di aver già mandato qualcuno sul posto.

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01/07/2014 11:03
 
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Ragà non so se se ne è mai parlato sul forum, ma volevo mostrarvi questo documento che è da sempre tenuto segreto speciali.espresso.repubblica.it/pdf/sebiorec2010.pdf
Si tratta di uno studio che fu commissionato dalla precedente Giunta Regionale e che poi l'attuale Giunta Regionale non ha mai pubblicato. E' uno studio fatto sul latte materno di alcune mamme residenti nei comuni delle Province di Napoli e Caserta. I dati sono allarmanti ed hanno portato alla luce grosse quantità di sostanze tossiche presenti nel latte materno.

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04/07/2014 22:11
 
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Il noto medico Antonio Marfella sulla sua pagina fb lancia un nuovo allarme e spiega perché a Mugnano si muore di più.

Stando alle parole dello specialista del Pascale tutto sarebbe dovuto ai tanti laboratori clandestini di scarpe e pellame. “Non riuscivamo a spiegarci perché da Mugnano arrivavano tanti casi ma ieri dopo aver letto gli articoli sul sequestro dell’ultima fabbrica abusiva di hogan false ho capito – ha spiegato Marfella – negli anni hanno utilizzato tutti i posti possibili per smaltire le tante scorie dei prodotti del lavoro sommerso. Colle e solventi mischiati ad altri agenti nocivi seppelliti sotto le strade e nel cemento delle abitazioni”.

Secondo l’esponente dei “Medici per l’Ambiente” questo spiegherebbe tante cose e anche l’individuazione della discarica proprio a Chiaiano. La volontà di spostare l’attenzione sui rifiuti urbani quando invece il vero problema sono i rifiuti speciali. Come quelli prodotti nei sottoscala clandestini che fabbricano scarpe di marca. Come dire, morirono griffati e contenti.
[Modificato da Ninconanco81 04/07/2014 22:18]

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19/07/2014 22:24
 
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Roma, caos rifiuti: acquisto di impianti privati e invio di spazzatura in Campania



Scongiurare un’altra settimana di immondezzaio a Roma. L’Ama, azienda municipalizzata della capitale, lavora alle soluzioni per evitare il peggio. Tra le ipotesi, a quanto risulta al fattoquotidiano.it, spunta quella di lanciare una proposta di acquisto degli impianti di proprietà dell’avvocato Manlio Cerroni, re dei rifiuti di Roma.

E’ una possibilità, ma l’azienda lavora anche alla ricerca di soluzioni alternative, vaglia anche l’ipotesi di fare come la Calabria: mandare una parte dei propri rifiuti negli impianti di trattamento di altre regioni, in primis la Campania.

Così la regione potrebbe passare da terra condannata a salvezza per altre città.

A metà giugno, infatti, la Calabria ha sottoscritto un accordo per inviare una parte dei rifiuti negli impianti campani, in particolare negli Stir che trattano l’indifferenziato.


Al momento la questione capitolina resta ingarbugliata. Ignazio Marino, sindaco di Roma, ha dovuto subire critiche e invettive per i rifiuti in strada e bisogna trovare una strategia di uscita perché, con il caldo, il pattume rappresenta anche un problema sanitario.

Al momento la capitale invia ai 4 Tmb ( impianti di trattamento meccanico biologico) i rifiuti raccolti in modo indifferenziatio. Due impianti di trattamento sono di proprietà di Manlio Cerroni così come il tritovagliatore. Per questi tre, l’Ama potrebbe lanciare una proposta di acquisto per liberarsi dell’abbraccio mortale con il privato, ma in cambio di una ovvia contropartita economica. Cerroni, sotto processo per associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti e alla truffa, ha ottenuto una vittoria in sede amministrativa tornando nella piena disponibilità dei suoi impianti. Il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro aveva firmato provvedimenti di interdittiva antimafia, bocciati sonoramente dal Tar che, nella sentenza depositata, in questi giorni, ha scritto: “Il ricorso deve essere accolto con annullamento del provvedimento impugnato per difetto di istruttoria e di motivazione”. Contro la sentenza sarà proposto ricorso al Consiglio di Stato.

Un passo falso visto che, ogni anno, la relazione della direzione nazionale antimafia spiega che le ecomafie sono ormai un delitto di impresa. Insomma un imputato di traffico illecito di rifiuti, è tra le motivazioni della sentenza del Tar, può non essere collegato al crimine organizzato soprattutto se il provvedimento è privo di riferimenti ai clan. La sentenza del Tar ha dichiarato illegittima anche l’ordinanza del sindaco e tramonta, di fatto, anche la possibilità, di requisire i Tmb privati che tornano nella piena disponibilità dell’avvocato. Esaurite le soluzioni da carte bollate, serve una strategia aziendale. L’Ama, guidata da Daniele Fortini, ha subito una pioggia di critiche dopo la settimana di fuoco con il pattume riversato sui marciapiedi. Tra le cause anche una diminuzione dei conferimenti dei rifiuti nei Tmb privati rispetto ai quantitativi previsti.

Ora servono risposte. Tra queste la proposta di acquisto che renderebbe l’Ama completamente autonoma dall’imputato Cerroni, ma anche da subito lavorare ad accordi con altre regioni come la Campania per inviare una parte dei rifiuti fuori città.

Al momento il costo di conferimento nei Tmb di Cerroni resta intorno ai 105 euro a tonnellata, 170 euro per portare i rifiuti al tritovagliatore, almeno 30 euro in più rispetto al costo di mercato. Soldi che vanno al privato, ovviamente, a spese dei romani. Dopo decenni di monopolio, si cercano strade per dare alla spa pubblica oltre all’onere della raccolta, il meno ingrato compito del trattamento e dello smaltimento del pattume.
[Modificato da Ninconanco81 19/07/2014 22:25]

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20/07/2014 03:59
 
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a carne asott e maccarun acopp!!

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Salutandovi indistintamente..

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20/07/2014 22:26
 
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chist so pazz, li spedissero anche loro in olanda nun c cacasser o caizer già stamm bell
20/07/2014 23:49
 
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Perdonatemi ma noi non ''spediamo'' via mare i nostri rifiuti in Olanda proprio perché i nostri siti sono saturi? Questi rifiuti romani dove li mettiamo?
23/09/2014 21:09
 
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Rifiuti tossici, il pentito Vassallo: “Pagavamo tutti, mai avuto un controllo”


"Quando aprimmo la cisterna il liquido bruciava ogni cosa, al contatto le plastiche friggevano". Così inizia il racconto del "ministro" della monnezza per i Casalesi. Il grande accusatore dell'ex viceministro Cosentino ricorda gli incontri con Craxi, accusa grandi imprese pubbliche come Enel e Italsider. E rivela una trattativa con gli 007 per arrestare Iovine e Zagaria. Andata a vuoto

di Nello Trocchia | 23 settembre 2014Commenti (3)
Rifiuti tossici, il pentito Vassallo: “Pagavamo tutti, mai avuto un controllo”
Più informazioni su: Casalesi, Gaetano Vassallo, Rifiuti Tossici.


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Quando aprimmo la cisterna il liquido bruciava ogni cosa, al contatto le plastiche friggevano. Abbiamo scaricato milioni di tonnellate di rifiuti tossici ovunque possibile. Non ho mai messo un telo di protezione, non ho mai avuto un controllo, pagavamo e vincevamo sempre noi”. Un racconto freddo, tanto chirurgico quanto inquietante. Poche parole: la fotografia del disastro di una terra. A parlare al Fatto Quotidiano è il pentito Gaetano Vassallo, ministro dei rifiuti del clan dei Casalesi, protagonista di quei traffici illeciti che, per anni, hanno trasformato aree della Campania in pattumiera del Paese.

C’è un primo equivoco da chiarire e Vassallo aiuta a farlo: “Quando è arrivato il commissariato di governo per gestire l’emergenza rifiuti, nel 1994, la musica non è cambiata”. E ricorda: “Venne a parlarmi il boss Feliciano Mallardo e mi disse: ‘Cumpariè dobbiamo fare i lavori presso la discarica di Giugliano, volete lavorare?’; io rifiutai e scelsero un’altra ditta del clan”. Di imprenditoria criminale in imprenditoria criminale, una linea di continuità anche quando lo Stato si commissaria per escludere la camorra dal ciclo. Da metà anni 80 al 2005, vent’anni di veleni tossici disseminati ovunque e di gestione criminale del ciclo dei rifiuti urbani e industriali. Il ventre della terra ha digerito ogni cosa: fanghi industriali, ceneri degli inceneritori, residui farmaceutici, acidi, calce spenta, scarti di bonifica, veleni a milioni di tonnellate. In due decenni un fiume di pattume si è riversato nel cuore fertile della terra campana. Ma questa è la storia criminale di un ex agente dello Stato, ritrovatosi imprenditore in una terra senza legge, in un settore senza controllo, dove i soldi tracimavano a valle. Dal nulla diventato referente dell’imprenditoria affaristica per abbattere i costi di smaltimento degli scarti industriali del nord produttivo. Vassallo, con le sue dichiarazioni, consegnate ai pm della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, Giovanni Conzo, Maria Cristina Ribera, Alessandro Milita – il pool coordinato dall’aggiunto Giuseppe Borrelli – descrive l’inferno, le coperture politiche, i rapporti con la massoneria di una cricca di imprenditori al soldo della camorra.


Vassallo è il grande accusatore di Nicola Cosentino, l’ex sottosegretario all’Economia di Forza Italia, finito sotto processo per camorra, e di Luigi Cesaro, deputato di Forza Italia, destinatario di una misura cautelare, annullata dal Riesame. Incontriamo il pentito in carcere, accompagnato dall’avvocato Sabina Esposito. Il collaboratore sta scontando una condanna per l’affare Ce4, il consorzio di bacino che aveva come braccio imprenditoriale i fratelli Orsi, legati ai Casalesi, e referente politico Nicola Cosentino. E la politica piaceva tanto anche a Vassallo. “Io negli anni ottanta ero del partito socialista, facevo le riunioni con Giulio Di Donato, organizzavamo le campagne elettorali. Io, quando potevo finanziavo il Psi. Come imprenditore vicino al partito ho fatto anche incontri a Roma alla presenza di Bettino Craxi. Furono gli anni in cui conobbi Luigi Cesaro, Giggino ‘a purpetta. Eravamo della stessa corrente”. Finito il sogno socialista, Vassallo cambia bandiera: “Passo a Forza Italia, sono stato anche iscritto al partito, ho fatto tessere, sostenuto campagne elettorali, ma noi facevamo affari con tutti, destra e sinistra”. I partiti a Vassallo son sempre piaciuti, perché questa storia è anche e soprattutto la fotografia di un intreccio tra clan, impresa, professioni e mondo politico. Ma è un racconto che inizia da lontano.

L’agente che diventa imprenditore

Vassallo si è deciso a parlare dopo aver ascoltato ex collaboratori e altre figure, raccontare questa storia per sentito dire infarcita di strafalcioni e false piste. “Io ho visto tutta la schifezza che abbiamo sputato nella terra. Una volta scaricammo fanghi, liquidi che erano scarti di lavorazione di un’industria farmaceutica. Poco dopo i ratti si sono estinti, sono spariti”. Immagini dall’orrore. Un’organizzazione criminale che ha risolto la crisi rifiuti toscana prima, della provincia di Roma poi e offerto soluzioni economiche alle imprese del nord, agli impianti che dovevano smaltire. Il capitalismo aveva trovato nell’imprenditoria di camorra lo sbocco per ridurre i costi di smaltimento del pattume industriale. A prezzo della salute di un popolo, in un’area quella di Giugliano, in provincia di Napoli, dove una perizia consegnata alla Procura, fissa per il 2064 la morte di ogni forma di vita. “Mi vergogno, avrei dovuto pentirmi prima”. Lo fa nell’aprile del 2008. “Avevo paura. Quando il killer Giuseppe Setola è uscito su Castel Volturno ha cominciato a fare i morti. Un componente del clan mi disse che non era controllabile. Così mi sono pentito. Non ce la facevo più. Ho cambiato vita, allo Stato ho consegnato tutte le mie ricchezze”. In quell’anno Setola e il suo gruppo di fuoco hanno ammazzato anche Michele Orsi, imprenditore che aveva iniziato a fare dichiarazioni ai pubblici ministeri, ma non era un pentito. “Sergio e Michele Orsi erano legati al clan. Prima dell’ omicidio di Michele avevo detto agli inquirenti che sia Sergio che Michele erano stati designati perché non avevano mantenuto gli accordi con la camorra. Il clan gli aveva fatto la cartella (aveva stabilito di doverli ammazzare, ndr). Dovevano morire e il clan mantiene gli impegni. Gli Orsi avevano tanti amici, funzionari, imprenditori, erano in rapporti anche con un magistrato”. Vassallo ricorda l’inizio di questo horror didistruzione,morteeterrastuprata. “Ha iniziato mio padre, non sapeva neanche scrivere. Le carte le compilavano gli amici sul comune. Teneva la cava di pozzolana, rimanevano grosse buche. Un conoscente gli ha suggerito di buttarci i rifiuti. In quel periodo io facevo l’agente di polizia penitenziaria, l’ausiliare, mi sono congedato nel 1980, l’anno della strage di Bologna. Tornai a casa”.

L’inizio della grande mattanza

“Dopo due anni fondai la prima società. Fino ad allora, abbiamo gestito appalti con gli enti pubblici per svariati milioni al mese senza partita iva, senza ditta, senza niente”. Le discariche, non solo la sua, venivano gestite così: “Non abbiamo mai messo un telo di protezione, il percolato finiva in falda, non c’era neanche una vasca di raccolta, bruciavamo i rifiuti per liberare spazio, facevamo quello che volevamo”. Il percolato, liquido inquinante, risultato della decomposizione dei rifiuti organici, inquina le falde, stupra la carne viva della terra. “Presto cominciammo anche con gli speciali, la Regione mi autorizzò allo smaltimento anche di quelli”. È l’inizio dell’eldorado quando la consorteria criminale scopre il business dei rifiuti dal nord, prima quelli dei Comuni, poi quelli industriali. La discarica di Vassallo, a Giugliano, Comune in provincia di Napoli,sitrasforma in un girone dell’inferno così come gli altri buchi, nei dintorni, sotto l’egida assoluta dei clan. E i controlli? “Ci davano tutte le autorizzazioni di cui avevamo bisogno, chi doveva controllare era a nostro libro paga”.

L’assenza totale di verifiche e monitoraggi

“In provincia le autorizzazioni le dava l’assessore Raffaele Perrone Capano dei liberali (arrestato nel 1993, condannato in primo grado, poi assolto per falso e prescritto per corruzione e abuso d’ufficio, dal 2001 è stato reintegrato come professore alla Federico II). Ci dava indicazioni che non rispettavamo mai. Io davo i soldi a Perrone Capano, i contributi per il suo partito. A volte li davo a lui, altre volte al suo autista”.

I boss benedicono l’affare. L’ombra della P2

“Io sono stato l’imprenditore dei rifiuti per conto di Francesco Bidognetti”. Gaetano Vassallo era il ministro dei rifiuti dei Casalesi, il responsabile degli scarichi tossici agli ordini di Bidognetti, Cicciotto ’e mezzanotte, il capo assoluto del clan, oggi rinchiuso al 41 bis. L’ex agente, diventato imprenditore, conosce la camorra in quegli anni di gloria. “La faccia della camorra l’ho conosciuta con Santo Flagiello, che faceva la latitanza a casa mia. Poi il primo incontro con il boss Francesco Bidognetti. Mi disse: ‘Tu mi rappresenti in questo affare’”. La struttura organizzativa era molto semplice. “C’erano le società commerciali che si occupavano dell’intermediazione e del trasporto tutte controllate da Gaetano Cerci, camorrista, nipote del boss Francesco Bidognetti, che aveva la società Ecologia 89. Poi c’erano tre imprenditori, io, Luca Avolio e Cipriano Chianese che avevamo le discariche”. I colletti bianchi dei Casalesi, proprio Gaetano Cerci è stato nuovamente arrestato qualche giorno fa con l’accusa di estorsione. Vassallo continua: “Utilizzavamo le certificazioni che avevamo, anche se le discariche erano esaurite. I rifiuti ufficialmente venivamo smaltiti nei nostri impianti, ma finivano nei campi, sotto la Nola-Villa Literno, nei terreni incolti, in altre cave. Tutto senza controllo”. La rete era estesa. Vassallo ricorda un’altra presenza costante in questo affare: la massoneria. “Gaetano Cerci andava a casa di Licio Gelli, mi spiegò che Gelli era un procacciatore di imprenditori del nord che potevano inviarci i rifiuti”. Nel 2006 la procura di Napoli chiese addirittura l’arresto di Licio Gelli, il gip Umberto Antico negò la misura. I pm scrivevano: “I rapporti preferenziali tra Gaetano Cerci e Licio Gelli appaiono poi assolutamente certi, essendo riferiti da Schiavone, De Simone, la Torre, Quadrano, Di Dona, sia de relato che per scienza diretta”. Ora arrivarono anche le parole di Vassallo, ma Gelli da quella indagine ne è uscito pulito. Un altro che conta era Cipriano Chianese, avvocato, imprenditore, sotto processo per disastro ambientale e collusione con i clan. Chianese, nel 1994, si candidò con Forza Italia, ma non fu eletto. “Chianese è stato l’ideatore dell’organizzazione. Aveva conoscenze importanti, era amico di un generale dei carabinieri. A Chianese lo stato ha preso solo una parte dei beni, molti soldi li ha macchiati (nascosti, ndr)”. Il sistema rodato era soldi in cambio dell’appalto. A Vassallo chiediamo se negli anni di rapporto con i politici, tra mazzette e collusioni, ne ha mai trovato uno che si è opposto. “No, non ho visto nessuno opporsi”.

Milioni e veleni anche dal Nord

E dal nord produttivo, dalle aziende del Paese arrivava di tutto. “Abbiamo scaricato le ceneri degli inceneritori del nord, gli scarti dell’Italsider di Taranto, la calce spenta dell’Enel di Brindisi e di Napoli, i fanghi industriali, gli scarti tossici proveniente dalla bonifica dell’Acna di Cengio, gli acidi, tonnellate di rifiuti dalle aziende del settentrione. Di certo posso dire: non abbiamo scaricato i rifiuti nucleari”. E cita le aziende come “i Bruscino che trasportavano gli scarti di lavorazione dell’Enel, la ditta Perna Ecologia”, un lungo elenco di aziende che hanno scaricato veleni per anni. Le imprese produttrici non si preoccupavano di dove andava, a prezzo stracciato, il loro pattume tossico. Contattavano gli intermediari, i trasportatori, e i carichi partivano. Quando gli chiedi l’ammontare dei rifiuti scaricati, Vassallo allarga le braccia e scuote la testa. Il principio ispiratore era uno soltanto: non si rischiavano niente in un Paese, l’Italia, dove a distanza di anni la maggior parte dei processi per delitti contro l’ambiente finisce in prescrizione. Basso rischio e palate di soldi. Vassallo spiega: “Io solo per il trasporto dei rifiuti dalla Toscana, andavo a prendere 700 milioni di lire al mese. In Campania guadagnavo 10 miliardi di lire ogni anno solo per l’affare dei rifiuti solidi urbani, raccolti nei comuni dell’hinterland”. Poi c’era il traffico dei rifiuti tossici, occultati sotto quelli domestici. “Un pozzo senza fine. Guadagnavo 5 milioni di lire a carico, al clan davo 10 lire al kg, ma li fottevo sul peso e sugli arrivi. Ogni giorno arrivavano anche 30 camion. Una cosa come 150 milioni di lire ogni santo giorno. Si iniziava a scaricare alle 4 del mattino, c’era una fila di camion dalla discarica fino alla strada”. Fotteva i clan Vassallo e, quando occorreva, usava le buche di Stato grazie a buoni amici. Vassallo ricorda quello che poteva diventare lo spartiacque, il momento di cesura di questo orrendo spartito criminale: il 1993. “Fummo arrestati tutti nell’inchiesta Adelphi proprio per i traffici di rifiuti . Io fui prosciolto, ma ero colpevole. Se fosse andato diversamente quel processo, la Campania si sarebbe risparmiata altri 15 anni di veleni”. E ricorda un particolare. “Venne un magistrato per chiedermi di collaborare. Il nostro accusatore era Nunzio Perrella, un boss di Napoli che si era pentito. Io ci pensai, ma poi in carcere ebbi un colloquio con mio padre”. E il padre gli portò i saluti dei Casalesi. “Mi disse che lo aveva avvicinato Francesco Bidognetti per rassicurarlo sulla copertura economica”. Tutto ricominciò. Dopo gli arresti arrivò lo Stato. “Noi ci dedicammo solo ai traffici di rifiuti industriali. Nel 1994 la gestione dei rifiuti solidi urbani viene affidata al commissariato di governo. Aveva l’obiettivo di avviare un ciclo di gestione ed estromettere la camorra dal pattume”. Non cambiò nulla, l’imprenditoria dei clan era l’unica a lavorare. “Il commissariato mi ha dato un paio di milioni di euro, loro ci lasciarono una parte della cava, dovevamo fare la messa in sicurezza, ma noi facevamo finta e continuavamo a scaricare”. Il business era redditizio. “Arrivavano le motrici con i fanghi che fintamente venivano trattati negli impianti di compostaggio dei fratelli Roma. Facemmo un macello, li abbiamo scaricati nei terreni dei contadini . A Lusciano, a Villa Literno, a Parete, a Casal di Principe. Poi dopo aver scaricato passavamo con il trattore per muovere la terra”. Con l’arrivo del commissariato, la camorra raddoppia. In particolare Vassallo ricorda: “Giuseppe Carandente Tartaglia, era emanazione, prima dei Mallardo e poi del boss Michele Zagaria. Me lo disse Raffaele ’o puffo, il figlio di Francesco Bidognetti. L’azienda di Carandente Tartaglia ha lavorato prima in sub-appalto per il consorzio Napoli 1 e dopo per Fibe (la società del gruppo Impregilo che aveva vinto l’appalto per la gestione dei rifiuti in Campania, ndr). Carandente Tartaglia si vantava di avere un rapporto da anni anche con un ingegnere importante di Fibe, al quale garantiva la copertura della camorra, ma non ricordo il nome”. Nel 2008 quelle sigle societarie, già operative nel ’95, realizzeranno la discarica di Chiaiano per conto del commissariato di governo.

Cattura di Zagaria e Iovine: l’incontro con gli 007

Sul ruolo nell’emergenza rifiuti di Antonio Iovine e Michele Zagaria, per 15 anni latitanti, e poi catturati, Vassallo non ha dubbi. “I terreni dove sono stoccate le balle di rifiuti (dalla Fibe grazie a un’ordinanza commissariale, ndr), sono di soggetti legati al boss Zagaria”. In questo cammino criminale, Vassallo è sempre stato in prima linea, prima come protagonista della mattanza ambientale, poi offrendo il supporto quando necessario ai fratelli Orsi nell’affare Ce4. Era nella cabina di regia con i boss di primo ordine. Così gli chiediamo di eventuali rapporti di Zagaria e Iovine con pezzi dello Stato. E lui racconta un particolare inedito che apre interrogativi. “Ho incontrato agenti dei servizi segreti nel periodo 2006-2007. Mi hanno contattato perché volevano arrestare Iovine e Zagaria. Un mio amico carabiniere di Roma venne da me insieme a due persone che presentò come agenti dei servizi. Ci sono stati tre incontri, due in un albergo e un altro all’uscita autostradale di Cassino. Potevo incontrare Iovine, ’o ninno, e Zagaria in qualsiasi momento. Li conoscevo, io ero imprenditore del clan. Il patto era di fargli arrestare i due latitanti in cambio di mezzo milione di euro, 200 mila euro per Iovine, 300 mila per Zagaria. Io chiesi anche la garanzia della libertà per me, ma non accettarono. L’accordo saltò”. Iovine, oggi collaboratore di giustizia, viene arrestato nel 2010, dopo 14 anni di latitanza, e Zagaria nel 2011, dopo 16 anni. Il racconto del pentito pone una domanda: si potevano arrestare prima? Gaetano Vassallo aspetta di uscire dal carcere per tornare alla sua nuova vita: dipendente di un supermercato. Mentre si alza ripensa alla mattanza ambientale. “Non si può fare niente. Io parlo dell’area dove smaltivamo io e Chianese. È impossibile bonificare”. È una peste, un inferno senza fine.

Da Il Fatto Quotidiano del 23 sette
[Modificato da bubolazza 23/09/2014 21:10]

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24/09/2014 09:35
 
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che bello
24/09/2014 11:57
 
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qeste sono le cose che ti fanno perdere tutte le speranze..

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16/10/2014 11:13
 
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DATI AIRTUM NAZIONALI 2013

"Tra i giovani (0-49 anni), i tumori sono un evento relativamente poco frequente,
infatti, in questa fascia di età vengono diagnosticati l’11% dei tumori.
Tra i giovani uomini, le sedi tumorali più frequenti sono il testicolo (11% del
totale dei tumori), il linfoma non-Hodgkin (9%), i melanomi (8%), il colon retto
(8%) e la tiroide (7%).

Tra le donne giovani, al primo posto si trovano, sempre
escludendo i tumori epiteliali della cute, i tumori della mammella (41%), seguiti
da quelli della tiroide (14%), dai melanomi (7%), dai tumori del colon retto
(5%) e dai tumori della cervice uterina (4%)."

GIA NEL 2011 FUSCO E ISS CONFERMAVA IN CAMPANIA UN ECCESSO DI CANCRO DEL TESTICOLO CORRELABILI AI SITI DI SVERSAMENTO DEI RIIFUTI ANCHE TOSSIC;

L'ECCEZIONALE INCREMENTO DEL CANCRO DELLA MAMMELLA NELLE DONNE GIOVANI DI FATTO RENDE LO SCREENING DELLA MAMMELLA UN INUTILE SPRECO DI DENARO GIA A LIVELLO NAZIONALE E ANCORA DI PIU IN CAMPANIA;

PERSINO IL PROGETTO SENTIERI MAGGIIO 2014, CORRELA UFFICIALMENTE, SULLA BASE DI QUANTO ATTESTA DA IARC E LANCET ONCOLOGY NEL 2013, CHE IL MELANOMA E' DIRETTAMENTE E PATOGENETICAMENTE CORRELATO ALL'ECCESSO DEI POLICLOROBIFENILI....QUELLI CHE HANNO SVERSATO AD ACERRA...PER ESEMPIO....QUESTO SIGNIFICA SAPERE LEGGERE I NUMERI.....

Antonio MArfella, oncologo del Pascale
[Modificato da Ninconanco81 16/10/2014 14:41]

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16/10/2014 14:13
 
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che tristezza :bah:

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18/10/2014 20:41
 
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Il decreto legge La Terra dei Fuochi, per stessa ammissione del Governo è stato un Fallimento.

Il M5S che a quel testo non ha mai creduto, non votandolo ma cercando di modificarlo, fu attaccato perchè i figli della Campania si rivoltavano contro la propria terra

Non era così chiaramente

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21/10/2014 13:43
 
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Ecco come le aziende del nord sversavano rifiuti al sud. Nomi, quantità e modus operandi delle ecomafie



La lunga scia delle ecomafie nel Mezzogiorno ha radici ben profonde che partono da soprusi messi in atto negli anni '80 ai danni del nostro territorio. Una lunga scia di atti contro la salute e la vita che hanno una firma ben precisa e sigle che riportano alle province del nord. Una situazione che da anni trova solo la solidarietà sui media, ma sul piano pratico poco si sta facendo per perseguire chi ha violentato la nostra terra.

I rifiuti tossici del nord presenti in Campania e nelle Puglie hanno un nome ed un cognome. Hanno sigle e luoghi di provenienza. Volendo fare una carrellata, vari sono i comuni del torinese che si ritrovano coinvolti in un traffico di rifiuti che collegava il nord al sud, trasformando la Campania e le Puglie in una grande pattumiera.

Si parte dal Piemonte con Chivasso, Robassomero, Orbassano per poi passare alla Lombardia con San Giuliano Milanese e Opera, Cuzzago di Premosello, Riva di Parabbiago, Pianoro (Bologna), Parona (Pavia), Roma. Oltre ai luoghi di provenienza, come già detto, ci sono anche sigle e ragioni sociali dietro questo traffico. Vogliamo con forza denunciare quanto successo elencandoli con tanto di domicilio e quantità e qualità di rifiuti sversati.

Si parte da FER.OL.MET Spa impianto di depurazione (via della Pace, 20 – 20098 San Giuliano Milanese, Milano): 21 tonnellate di fanghi, 552 tonnellate di fanghi di verniciatura. Poi si passa alla cosmesi con TOCCO MAGICO Spa (via Giulio Verne, 21 – 00157 Roma): 25 tonnellate di rifiuti speciali cosmetici scaduti; ancora vernici e metalli con SICAF di Premosello (Novara): 16 tonnellate di scarti di collante acrilico, 50 tonnellate di morchie di verniciatura. Per non farci mancare nulla si passa anche all'incubo dell'amianto con il CENTRO STOCCAGGIO FERRARA di Robassomero (Torino): 79 tonnellate di rifiuti speciali industriali, 13 tonnellate di polveri di amianto bricchettate. tra i quantitativi più alti ci sono le FONDERIE RIVA Spa (via Vela, 9/A – 20015 Parabbiago, Milano): 1106 tonnellate di scorie e ceneri di alluminio. Ma la peggiore sembra essere l'ACNA (azienda coloranti nazionali e affini) di Cengio (TORINO) che fu chiusa per rischio socio-ambientale nel 1999. La fabbrica produceva veleni, sostanze venefiche delle più pericolose: diossine; ammine (composti organici derivanti dall'ammoniaca e contenenti azoto); composti dello zolfo, del cianuro. I fanghi sono stati trasferiti in Campania, a bordo di camion e su navi fatte affondare. 22 tonnellate di morchie di verniciatura, resine e fanghi arrivano dalla provincia di Padova.

Dati confermati anche dalle istituzioni: difatti, Nicola de Ruggiero, assessore all'ambiente della Regione Piemonte, ha affermato che «A Pianura sono arrivate almeno 800 mila tonnellate dei rifiuti di Cengio, azienda per noi emblematica del disastro ambientale causato dal Piemonte.”

Ma per capire come si muoveva la macchina dell'ecomafia bisogna scendere nel pratico.
Vi raccontiamo di seguito uno degli episodi avvenuto alla fine degli anni '80 che spiega bene, sia come le aziende del nord svernavano i rifiuti al sud e sia come la magistratura non ha potuto far molto contro questi poteri forti.

I fatti di Pianura, Caserta Scampia sul lato campano e di Ordona, Apricena e Cerignola sul lato pugliese riportano alla mente quanto successo in quegli anni nella zona sud dei Monti Dauni ai confini con la verde e violentata Irpinia.

Ripercorrendo le cronache di quei giorni era il 28 aprile del 1987 quando giungevano presso lo scalo ferroviario di Rocchetta Sant'Antonio 28 carri merci carichi di circa 2.000 tonnellate di scorie di magnesio provenienti dallo stabilimento della «Società italiana per il magnesio e leghe di magnesio» spa con sede in Bolzano e spedite dalla «SOGEPI ~ Delta Industriale» srI con destinazione località «Ischia della Piana» del comune di Monteverde (Avellino), ove una piccola parte del materiale in questione era stata già impiegata per il riempimento di un piazzale sul quale doveva sorgere un opificio industriale.
Questa volta purtroppo per loro qualcosa andò male e i vagoni uscirono allo scoperto.
Sempre la stessa storia un nord troppo impegnato a fare economia utilizza questi stupendi posti come pattumiera. Detto materiale fu sequestrato dal pretore di Lacedonia, che, dopo l'esperimento delle prime indagini tese ad individuare la natura e le caratteristiche del materiale stesso, si dichiarò incompetente e trasmise gli atti al pretore di Bolzano. Gli accertamenti disposti all'epoca dall'autorità giudiziaria accertarono che il materiale, pur non potendo essere ricompreso fra i rifiuti tossici e nocivi, bensì tra quelli speciali, aveva comunque delle caratteristiche tali per cui il suo deposito doveva essere eseguito adottando determinate cautele, non potendosi altrimenti escludere forme di inquinamento atmosferico ed idrico. Inoltre il pretore, con sentenza del 16 dicembre 1988, nel condannare i titolari delle due società per avere, senza le prescritte autorizzazioni e l'adozione di cautele atte ad impedire l'inquinamento ambientale, eseguito varie fasi di smaltimento di rifiuti speciali, dispose «la confisca del materiale in giudiziale sequestro e la sua distruzione a cura dell'autorità amministrativa competente che dovrà osservare le prescrizioni di legge in materia ed a spese dell'imputato (si legge nella sentenza ndr)». Tale sentenza fu appellata e la corte di appello di Trento, nelle more della decisione di secondo grado, al fine di evitare pericoli per la salute pubblica stante un modesto sversamento dei rifiuti in questione e la corrosione dei vagoni di contenimento, dispose (con ordinanza del 22 agosto 1989) la separazione dei rifiuti stessi dai vagoni ferroviari ed ìI ricovero dei primi in luogo adatto ed idoneo alla loro conservazione, demandando tale incarico alla Guardia di finanza che si doveva avvalere degli organi regionali provinciali e comunali per la parte di propria competenza. Il predetto provvedimento suscitò vive proteste da parte degli organi rappresentativi delle popolazioni interessate (consiglio comunale di Rocchetta Sant'Antonio, Comunità Montana del Sub~Appennino Dauno Meridionale, Provincia di Foggia) anche per le obiettive difficoltà di reperire nella zona un sito idoneo allo stoccaggio.


La lunga odissea dei vagoni tossici non si conclude e mentre si continuano a calcare le aule di tribunale i rifiuti si presentano sempre più aggressivi corrodendo anche i binari in alcuni punti, ma nonostante questo, lo Stato si presenta come succede troppo spesso privo del giusto carattere per affrontare i problemi nel concreto e con una sentenza scaldalo (del 4 ottobre 1989), intervenuta prima che la Guardia di finanza riuscisse a dare esecuzione allo spostamento dei rifiuti, la corte di appello, avendo ritenuto le scorie di magnesio «sottoprodotti industriali da impiegare direttamente» e non rifiuti tossici e nocivi nè rifiuti speciali, ha conseguentemente assolto con formula piena i legali rappresentanti dell'azienda bolzanese perchè il fatto ai medesimi ascritto non costituisce reato e, nel contempo revoca i provvedimenti di sequestro giudiziarie e di confisca del materiale, nonchè la restituzione delle cose in sequestro (carri ferroviari e scorie di magnesio) agli aventi diritto (rispettivamente ente Ferrovie dello Stato e SOGEPI). La sentenza è passata in giudicato e la Guardia di Finanza ha eseguito il provvedimento di dissequestro ma i rappresentanti della «SOGEPI ~ Delta Industriale», per quanto debitamente invitati, per un altri anni non hanno provveduto a ritirare il materiale in questione. Agli inzi degli anni 90 miracolosamente i vagoni sparirono senza lasciare traccia e putroppo sulle sorti di quei rifiuti nessuno sa niente.

[Modificato da Ninconanco81 21/10/2014 13:46]

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Arrestato il patron di Foreste Molisane, il gip: "Arricchimento criminale"

Giuseppe Gravante arrestato dal Corpo forestale per estorsione e smaltimento illecito di rifiuti



Finisce agli arresti domiciliari l'imprenditore Giuseppe Gravante, patron di "Foreste Molisane".

Gravante è accusato di vari reati, tra cui l'estorsione e lo smaltimento illecito di rifiuti. In particolare, l'imprenditore avrebbe costretto, sotto minaccia di licenziamento, i dipendenti a sversare rifiuti zootecnici nel fiume Volturno e a sotterrare altri tipi di rifiuti nei terreni della propria azienda agricola.

Nel dettaglio: Giuseppe Gravante, 75 anni, alla guida della Nat.Ali.srl di Gioia Sannitica, località Fossolagno, storico patron del marchio 'Foreste Molisane', minacciandoli di licenziamento, costringeva alcuni suoi dipendenti dell'azienda agricola a indirizzo zootecnico a smaltire, direttamente nel fiume Volturno, degli effluenti dell'allevamento di bestiame e dei reflui provenienti dalle sale di mungitura. Così dice l'indagine della procura di Santa Maria Capua Vetere, pm Raffaella Capasso, delegata al Corpo Forestale.

Sempre nel fiume, finivano le acque di lavaggio delle stalle e delle sale di mungitura, addizionate a prodotti detergenti e acidi "di notevole intensità", scrive la procura in una nota.

E rifiuti speciali finivano interrati o bruciati. Gravante, storico imprenditore casertano impegnato da oltre quaranta anni nel settore zootecnico per la produzione di latte, già titolare dell'originario marchio del "Latte Malese" (che - ha spiegato il pm Capasso - ha ceduto nel 1984 e dunque è ditta estranea all'inchiesta), è proprietario di una centrale del latte, dove, fino al novembre dello scorso anno, avveniva la trasformazione e l'imbottigliamento di latte vaccino, rivenduto con il marchio commerciale 'Foreste Molisane'.

Le indagini sono partite dai racconti di un ex dipendente che si è autodenunciato, ammettendo di aver preso parte, per lunghi anni, a questo smaltimento illecito. La denuncia ha trovato immediato riscontro investigativo con il rinvenimento nell'azienda del Gravante di un'attività di smaltimento illecito di rifiuti speciali effettuata direttamente nel fiume Volturno, grazie a un sistema di pompe idrauliche nascoste e canalizzazioni approntate all'occorrenza.

L'attività di smaltimento consumatasi dal 1994 fino a qualche mese fa, avveniva di sera o di notte, per eludere controlli, approfittando anche dei momenti in cui le acque del fiume fossero state rese limacciose dalle acque piovane. Qualche anno fa il WWF denunciò lo stato di degrado del fiume Volturno e, di conseguenza, del litorale domitio.

Furono svolte indagini di telerilevamento a partire dal 2011 da parte del Corpo Forestale dello Stato e della Guardia costiera di Napoli, delegati dalla procura samaritana, e furono posti sotto sequestro una serie di scarichi illeciti, alcuni provenienti proprio da aziende bufaline, ma non da quelli di Gravante, per la sua abilità e quella dei suoi collaboratori, annota la procura, nell'eludere controlli.

L'ex dipendente ha però fatto una crepa estesa nel "muro di omertà che proteggeva l'illecita attività protrattasi per una ventina di anni". Alla prima autodenuncia sono seguite circostanziate e concordanti dichiarazioni da parte di altri ex dipendenti, che hanno ammesso di essere stati costretti ad agire in quel modo con la minaccia di essere licenziati.

Tutti sono ora indagati a piede libero per il reato di gestione non autorizzata di rifiuti. "Per avere un'idea della gravita dell'inquinamento arrecato dagli sversamenti illeciti nel fiume Volturno - scrive il pm Capasso - basti pensare che un allevamento bovino come quello in oggetto, della consistenza di tremila/tremilacinquecento capi, rilascia un carico organico specifico pari a quello di una città di circa 24mila persone".

Anche i rifiuti speciali prodotti dalle attività dell' imbottigliamento del latte venivano smaltiti illecitamente nel terreno aziendale, all'interno di grosse buche, con attività di tombamento e bruciamento di rifiuti. Un dipendente ha dichiarato che, all'epoca della centrale del latte, e comunque dal 1994 fino al 2008, ogni giorno si sono interrati e bruciati, su una superficie di circa 100 metri quadrati e a una profondità di circa 3 metri, tutti gli scarti dell'azienda (bottiglie in tetrapack, in p.e. e in pet, nonchè etichette di carta e plastica), per un equivalente di circa 6,5 quintali al giorno. Naturalmente per un risparmio sui costi di smaltimento, che si aggiravano sui 30 centesimi circa al chilo, oltre i costi di trasporto e affitto dei cassoni, quantificato in in 72mila euro l'anno, circa un milione in 15 anni, a scapito delle matrici ambientali. Il comune di Gioia Sannitica, nel 2007, ha conferire a Gravante la cittadinanza onoraria, in quanto "re del latte".

Il patron di 'Foreste Molisane', Giuseppe Gravante, "..in realtà non voleva proprio sentir parlare del problema dei rifiuti. Pretendeva che gli scarichi fossero eliminati, pur senza fornirci mezzi adatti... questa era diventata una prassì". E' il racconto di uno dei suoi dipendenti agli inquirenti, contenuto nella misura cautelare firmata dal gip di Santa Maria Capua Vetere. Che annota: "In virtù della logica del profitto si realizzavano arricchimenti criminali...la situazione era insostenibile, gli animali erano immersi nei liquami. I liquami tracimavano ed intanto il Gravante riceveva un sussidio pubblico di circa 70 euro per il benessere di ciascun animale".

In sostanza, sottolinea il pm Raffaella Capasso, l'imprenditore non solo smaltiva illecitamente gli effluenti zootecnici, con relativo risparmio di impresa, ma riceveva anche il contributo pubblico per il benessere di ciascun capo bovino che, nel frattempo, però, viveva tra i liquami. Al danno si aggiungeva quindi la beffa.

Sempre uno dei dipendenti raccontava ai pm: "...spesso il reso delle bottiglie veniva nuovamente distribuito per la produzione in corso e mischiato al latte fresco".

In sostanza, il latte scaduto veniva mischiato con quello in lavorazione e poi commercializzato
. Animali, terreni, acque, consumatori trattati tutti come meri strumenti per realizzare profitti a qualsiasi costo, in una logica del tutto contraria alla cultura contadina che, asseritamente, dovrebbe ispirare le imprese agricole e spingerle verso la gelosa tutela dei beni naturali, unica e preziosa loro risorsa, annotano i magistrati. Il Corpo Forestale dello Stato, con uomini e mezzi messi a disposizione dall'Esercito italiano, 21esimo Reggimento del Genio Guastatori di Caserta, e con la collaborazione di tecnici esperti dell'Arpac, nei prossimi giorni effettuerà saggi di scavo nella tenuta aziendale per rinvenire, caratterizzare e campionare i occultati nel sottosuolo.
[Modificato da alan shore 28/10/2014 14:32]
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